
«Ida uscì dalla Berggasse 19 camminando sul marciapiede. Lei, solo lei, avrebbe d’ora in avanti deciso della sua vita».

Il libro racconta la versione di Ida, ribattezzata “caso Dora” dal medico viennese in Frammento di analisi di un caso d’isteria. «Freud ha 45 anni, Ida 18 quando convinta dal padre si presenta nel suo studio per curare sintomi come tosse nervosa, scomparsa della voce e svenimenti», racconta la Adler. La ragazza è indomita: non capisce l’utilità di sdraiarsi sul divano («dietro di lei solo lo scatto della catena dell’orologio») o cosa c’entrino i sogni con i suoi malesseri («avrebbe passato il resto dell’ora a guardare fuori dalla finestra»). Non solo, quando gli confida di esser stata molestata sessualmente da un amico di famiglia («il dottore stette ad ascoltare senza interromperla. Almeno questo»), Freud non le crede. E azzarda una diagnosi di desideri repressi della ragazza che lei rimanda al mittente. «Ida non teme di dire quel che pensa: un dono e una maledizione per una donna nata a cavallo del 1900», racconta la bisnipote che nella stesura del romanzo durata 10 anni ha scoperto aspetti del dottor Freud che non conosceva, come per esempio che «nelle prime sedute, ognuna delle quali costava l’equivalente di 400 euro, parlava molto anche lui. Solo più tardi decise che i pazienti dovevano trarre da soli le conclusioni sul loro subconscio». Conclusioni a cui Ida arrivò (forse) per conto suo, rimanendo di fatto indissolubilmente legata al padre delle psicanalisi «senza il cui lavoro pioneristico la nostra psiche sarebbe ancora un mistero», precisa la Adler a 120 anni dal gran rifiuto.
