Michela Calabrese. Dalla strada a una jam session al Blu Note

[separator type=”thin”][dropcap letter=”D”]alla strada al palco del Blue Note di Milano in un’ora. Un’ora piena degli sforzi di una vita (ho 53 anni) per non archiviare il sogno di fare la musicista. Tutto è cominciato quando a 19 anni, dopo aver vinto il concorso per maestra a Cagliari, dove sono cresciuta, decisi di partire per un anno in Sudamerica. Alle spalle un coro di: “sei completamente folle”. Fu un viaggio da sliding door: da una parte una vita programmata (“possibile che il senso sia tutto in un lavoro, una famiglia, una casa?”) e dall’altra l’ignoto. Partire da sola non fu facile, inesperta com’ero, ma quella terra così magica mi ha aiutato fin da subito a scoprire la mia vena artistica. Decido quindi di tornare in Italia, a Roma dove ritrovo due amici musicisti di strada. Con uno dei due, Angelo, bravissimo armonicista che purtroppo non c’è più, mi fidanzo per sette anni. Era il 1990 e la nostra casa era il ritrovo di artisti da tutto il mondo. L’amore per il flauto traverso nacque in quel momento, quando un’amica sassofonista brasiliana mi chiese di custodire il suo strumento in sua assenza. Lo provai e nonostante non mi uscisse neanche una nota lo tenni montato per giorni. Quando lo restituii me ne comprai uno uguale. Anche se non mi dava tregua il dubbio che 30 anni fossero troppi per cominciare a studiare la musica seriamente (fin lì avevo suonato a orecchio). Ero a un passo dall’abbandonare. C’era bisogno, quindi, di cambiare nuovamente rotta.

Direzione Cagliari stavolta, dove oltre a continuare a esibirmi in strada con il mio compagno e mio fratello Marcello (mia madre ci ha sempre sostenuto in questa scelta originale!) in poco tempo trovai lavoro come insegnante di musica e m’iscrissi al conservatorio prendendo il diploma del triennio in 6 mesi. Alla vigilia dell’esame del quinto anno però crollai. Con più di 10 ore di studio al giorno presi l’epicondilite bilaterale. Fui costretta a fermarmi realizzando che la musica classica non era nelle mie corde. Avevo al contrario un’anima nera (soul) che si esprimeva al meglio nel sestetto di funky acid jazz di cui ho fatto parte per alcuni anni in Sardegna. Una volta a fine concerto si avvicinò Cristiano D’Andrè. “Sei un’extraterrestre! – disse. Se faccio qualcosa ti chiamo”.

Era il 1995. Otto mesi dopo mi chiamò la Bmg Ricordi da Milano. La settimana dopo avrei registrato con Fabrizio De Andrè nell’album Anime Salve

Avevo solo il diploma in solfeggio del triennio! Mi presentai con il mio flauto sotto il braccio e mi ritrovai a suonare con un cast stellare. Mentre suonavo arrivò Fabrizio che doveva essere in Sardegna chiedendomi: “te la senti d’improvvisare?”. Ci posso provare, risposi. Suonammo insieme. Chiusi gli occhi, mi lasciai andare e lui: “Perfetto, registriamo subito”. E dopo: “te la senti di fare anche un assolo?”. Lo feci e “buona la prima”, disse. Forte di questa collaborazione decido di spostarmi nuovamente, a Milano. Fabrizio purtroppo muore l’anno dopo. Nel ’98 m’iscrivo ai Civici corsi di jazz. Per mantenermi lavoravo in un pub e in una scuola elementare. Nel 2011 dopo essermi laureata a pieni voti alla scuola di musica, con pochi soldi e poco tempo a disposizione per esercitarmi con il flauto, penso che è arrivato il momento di tornare in strada portando la mia professionalità là dove tutto è iniziato. Poteva rivelarsi un terribile passo falso. Ho accettato il rischio.

Non è stato facile chiudere la porta di casa, prendere il tram e soprattutto d’inverno cominciare a suonare (con i guanti!) in Duomo o alla Darsena

Tornare in strada è stata una riscoperta. Mi sento libera di scegliere orario di lavoro e mi permette di entrare in contatto con tantissime persone. Capita che qualcuno passando dica cose sgradevoli, cui cerco di rispondere con un sorriso. La legge italiana prevede la libera espressione dell’arte di strada e la polizia può solo chiederti di spostarti un po’ più in là. In compenso ci sono moltissime persone che apprezzano. La domanda più frequente è: “come fa una musicista come te a non stare in una grande orchestra?”. La libertà che ti regala la strada è sottovalutata. Io sono una delle precarie meno precarie del mondo. Posso suonare in ogni situazione. La strada è inoltre un’incredibile vetrina. Mi ha dato l’opportunità di essere ingaggiata per importanti eventi e festival, e d’incontrare critici musicali e musicisti internazionali.

Michela Calabrese
Michela Calabrese

Un giorno dello scorso marzo, per esempio, ero in via Paolo Sarpi, era tardi e non passava nessuno. Mi sono detta: “ho voglia di suonare, lo faccio per me”. Mentre intono Night and day vedo un uomo che mi riprende con il telefonino, si avvicina e dice: “Fantastica, stasera suoniamo al Blue Note. Ti regalo due accrediti, vieni con chi vuoi”. Ma chi sei? “Sono il percussionista di Arturo Sandoval”, il grande trombettista cubano. A cena mi arriva la telefonata del tour manager: “Arturo ha visto il video, gli è piaciuto molto, vieni con il flauto che ti vuole sul palco”. Arrivo emozionatissima, in tempo per sentire la mia presentazione. Accanto a me tutti mostri sacri della musica sudamericana. Sandoval esordisce con un “apri tu, con un tema rubato”, (significa lento, d’atmosfera). Mi dà l’assolo. Lo eseguo, ma quando sto per concludere la performance, non pienamente soddisfatta, riprendo a suonare. Sento il pianista che dice “Go, go!”. Risultato: abbiamo improvvisato per altri 5 minuti. Il pubblico entusiasta ha gradito il fuoriprogramma. Poi durante la notte sono arrivati i complimenti della band (“bravissima”, “quando vieni a Los Angeles suoniamo insieme”). Non ci potevo credere: ero io quella sul palco? Mi sono convinta solo davanti alla logica ferrea degli amici: “pensi che Sandoval rischi durante l’ultimo pezzo di un concerto, quello che rimane di più in testa, d’invitare una musicista qualunque?”. Quella è stata un’importante conferma: se credi nei tuoi sogni e rilanci continuamente puoi realizzare l’impensabile. Ora si stanno aprendo tante porte, tra cui la registrazione di un disco con il mio nome, la voglia (e la possibilità) di continuare il viaggio: New York, Londra, Bortigali, il paese in provincia di Nuoro, dove mettere finalmente radici, per poter svettare ancora più in alto.

originalmente pubblicato su Elle del 6 aprile 2013

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